di Davide Integlia*
Un terzo degli italiani non fa sport né si dedica all’attività fisica nel tempo libero. Nel 2021 le persone che, pur non praticando un’attività sportiva, dichiaravano di svolgere qualche attività fisica erano solo il 31,7 per cento. Questi dati, che vengono dall’annuario statistico Istat 2022, mi impressionano. Ed è proprio in questo momento dell’anno che colpiscono: dopo la bella stagione, durante la quale qualcuno ha fatto più movimento (almeno si spera), il rientro può rappresentare per troppi il ritorno alle cattive abitudini e all’inattività.
Sedentarietà e patologie: i numeri non mentono
La sedentarietà, lo sappiamo, è un problema di salute pubblica non indifferente legato com’è a un’infinità di patologie il cui rischio cresce in funzione della mancanza di movimento. Ciò riguarda – lo ricorda sempre l’Istat – in particolare le donne e chi vive nelle regioni del Centro-Sud. Qualche numero: secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, la sedentarietà è causa del 9 per cento delle malattie cardiovascolari, dell’11 per cento dei casi di diabete di tipo 2, del 16 per cento dei casi di tumore al seno e del 16 per cento dei casi di tumore al colon-retto.
L’impatto economico e sociale a livello nazionale ed europeo
Il tutto ha chiaramente ripercussioni economiche. Ad esempio, l’osservatorio Valore Sport promosso da The European House-Ambrosetti ha stimato che ogni sedentario grava di circa 200 euro sul sistema sanitario, pari a un costo complessivo della sedentarietà di 4,5 miliardi, ossia al 2,2 per cento della spesa sanitaria pubblica e privata del Paese. Con un aumento dell’attività fisica ai livelli minimi raccomandati nell’Unione Europea (cioè 150 minuti a settimana) si eviterebbero questi costi. Proprio a livello europeo è stato calcolato che fare sport consentirebbe di evitare 11,5 milioni di nuovi casi di malattie non trasmissibili entro il 2050, inclusi 3,8 milioni di casi di malattie cardiovascolari, 3,5 milioni di casi di depressione, quasi 1 milione di casi di diabete di tipo 2 e più di 400mila casi di tumori. Le fonti di questi e altri dati sono citate nel primo commento.
Perché non si agisce?
Credo che a oggi esistano numerose criticità che rendono difficile l’inserimento concreto dell’attività fisica tra le strategie fondamentali per preservare la salute pubblica. Non è, insomma, una questione di banale indolenza dei cittadini. Da un lato esiste un vuoto legislativo a livello nazionale e regionale, dall’altro manca una risposta adeguata a livello territoriale in termini di strutture accreditate idonee – penso a palestre o strutture riabilitative – che possano “somministrare” quella che è tutti gli effetti una terapia, tanto in ottica di prevenzione quanto di cura. Ma a questo arriverò tra poco.
Facciamoci qualche domanda
Per arrivare a questi obiettivi è necessaria secondo me una rivoluzione culturale. In altre parole, sappiamo tutti quanto sia utile non essere sedentari, ma davvero abbiamo la percezione delle potenzialità concrete dell’attività fisica sulla nostra salute? E la classe medica ne è pienamente consapevole? Quanto i clinici sono abituati a inserire l’attività fisica tra le strategie terapeutiche da prescrivere al paziente?
Essere attivi “allunga” la vita fino a 4,5 anni
Le evidenze scientifiche non mancano. L’attività fisica regolare riduce la mortalità per tutte le cause e quella correlata a patologie cardiovascolari del 20-30 per cento in una modalità dose-dipendente: essere attivi è risultato associato a un guadagno globale come aspettativa di vita tra i 3,4 e i 4,5 anni. È provato inoltre un effetto preventivo dell’attività fisica, moderata o vigorosa ma costante, con una riduzione del 30 per cento del rischio di comparsa del diabete. Ci sono poi ovviamente i benefici nella prevenzione di sovrappeso e obesità, a cui malattie cardiovascolari e diabete sono legati a doppio filo. Ancora, ricorrere all’attività fisica risulta importante anche nella riduzione dei sintomi depressivi. Quanto ai tumori, l’esercizio fisico riduce il rischio di cancro al seno del 20 per cento e di tumore del colon del 30-50 per cento, il tutto dimostrato dalle ricerche – purtroppo ancora troppo limitate – sugli outcome sanitari dell’esercizio fisico.
Ma cos’è l’attività fisica adattata?
È proprio in ambito oncologico che una seria implementazione dell’attività fisica giocherebbe un ruolo cruciale: come fa notare l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), è uno strumento di prevenzione e di gestione delle principali malattie croniche non trasmissibili (vedi link nel primo commento). Lo è in particolare quella che gli esperti chiamano attività fisica adattata, che prevede protocolli di allenamento personalizzati per pazienti fragili, malati, lungosopravviventi, anziani o con handicap in base a capacità ed esigenze individuali, da eseguire in collaborazione con un professionista sanitario di area oncologica. Così concepito, l’esercizio fisico consente infatti di ridurre l’infiammazione sistemica migliorando la funzione immunitaria e di ridurre la tossicità di alcuni farmaci chemioterapici e della radioterapia e i loro effetti indesiderati, quali nausea, perdita di appetito e di massa muscolare. Può ridurre inoltre la fatica e la percezione del dolore. Maggiori informazioni sull’attività fisica adattata nel primo commento.
Partiamo dal Sud…
È in questo contesto che ISHEO ha voluto fare la sua parte dando il via, insieme a La Lampada di Aladino Ets, a FIT to WIN, un osservatorio e rete multistakeholder di coprogettazione di analisi e interventi per l’empowerment del paziente e lo sviluppo di programmi di attività fisica speciali (scopri di più su FIT to WIN). Il progetto, realizzato con il supporto non condizionante di Astellas Pharma e in cui personalmente credo con grande fermezza, ha preso il via quest’estate a Scicli, in provincia di Ragusa. Proprio in quel sud in cui il problema della sedentarietà è particolarmente rilevante si è svolto infatti il primo incontro di FIT to WIN, parte di un percorso itinerante che si propone di coinvolgere il pubblico generale, gli amministratori locali dei distretti sanitari e le istituzioni su queste tematiche che stanno a cuore a me e a chiunque creda in un possibile cambiamento.
Servono leggi e un coinvolgimento territoriale
Con FIT to WIN non vogliamo semplicemente aumentare l’attenzione sul tema, ma impegnarci per risolvere quelle criticità di cui parlavo in apertura. Prima di tutto, infatti, penso che sia necessario monitorare i percorsi legislativi a livello nazionale e regionale per consentire un accesso equo a percorsi di attività fisica preventiva e adattata. Ma non bastano le leggi e gli indirizzi: occorre favorire una risposta adeguata dei territori in termini di aumento dell’offerta di programmi di attività fisica. Serve cioè sensibilizzare le aziende sanitarie locali a favore di chi, per ragioni socio-economiche, fatica ad accedervi privatamente. Ciò è possibile, a mio avviso, solo studiando i diversi contesti territoriali per individuare le strategie migliori caso per caso. A oggi esistono già sperimentazioni in alcune realtà regionali, come quelle toscana e trentina, ma si tratta ancora di casi sporadici.
Promuovere l’offerta di attività fisica, stimolare la ricerca di outcome sanitari
Quali le strade percorribili? Crediamo che occorra creare percorsi di accreditamento e certificazione di strutture idonee (palestre, centri riabilitativi e strutture sportive, strutture ad hoc per l’attività fisica preventiva e adattata) promuovendo al contempo lo sviluppo della loro offerta grazie a percorsi formativi. Tutto ciò non può prescindere dalla necessità di confermare e ampliare le conoscenze sul legame tra salute e attività fisica: ISHEO e La Lampada di Aladino con questo progetto intendono promuovere la ricerca sugli outcome sanitari (e a rilevanza sanitaria) dei programmi di attività fisica. L’obiettivo è dimostrare l’utilità delle singole tipologie e forme di attività fisica sulle differenti patologie, oncologiche e non. Il tutto, dando al contempo sempre maggiore rilevanza alle varie professionalità coinvolte, tra cui quelle del chinesiologo, del medico dello sport, del nutrizionista e dello psicologo, in un’ottica multidisciplinare.
Cosa accadrà da qui in avanti
La prima tappa ragusana di FIT to WIN non è altro che l’inizio di un viaggio in cui credo molto: con settembre seguiranno altre attività come la pubblicazione di un report e la realizzazione di un portale web all’interno del quale gli utenti potranno individuare, su mappa interattiva, le palestre, le scuole e le strutture che aderiscono ai principi di FIT to WIN. Ma non solo: la piattaforma sarà un luogo in cui associazioni, consorzi ed enti che promuovono gli ideali di FIT to WIN potranno avere visibilità grazie anche a webinar e newsletter di aggiornamento. Crediamo che come sempre fare rete rappresenti il primo importante passo per un cambiamento culturale nella vita di milioni di persone.
*Davide Integlia, Clinical Trials | Patient-centered analysis | HEOR & Market Access | Stakeholder Engagement