I risultati positivi dello studio di Fase III EMERALD-1 mostrano come durvalumab in combinazione con TACE e bevacizumab abbia prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante dell’endpoint primario di sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola TACE nei pazienti con carcinoma epatocellulare (HCC) eleggibile per l’embolizzazione.

Questi risultati sono presentati oggi all’American Society of Clinical Oncology Gastrointestinal Cancers Symposium (ASCO GI) a San Francisco, California, dal Prof. Riccardo Lencioni dell’Università di Pisa.

Circa il 20-30% dei pazienti con carcinoma epatocellulare, il più comune tumore del fegato, è eleggibile per l’embolizzazione, una procedura che blocca l’afflusso di sangue al tumore e permette di somministrare la chemioterapia o la radioterapia direttamente al fegato. Nonostante sia lo standard di cura in questo setting, la maggior parte dei pazienti embolizzati presenta progressione di malattia o recidiva entro un anno.

Nello studio EMERALD-1, il trattamento con durvalumab più TACE e bevacizumab ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 23% rispetto alla sola TACE (rapporto di rischio [HR] 0,77; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,61-0,98; p=0,032). La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata di 15 mesi nei pazienti trattati con la combinazione con durvalumab rispetto a 8,2 mesi con TACE. Il beneficio di PFS osservato è stato generalmente coerente nei principali sottogruppi predefiniti. L’endpoint secondario del tempo alla progressione (TTP) supporta ulteriormente il beneficio clinico di durvalumab più TACE e bevacizumab in questo setting, con un TTP mediano di 22 mesi rispetto a 10 mesi con TACE (HR 0,63; CI 95% 0,48-0,82).

Lo studio come previsto continuerà ad analizzare l’endpoint secondario principale di sopravvivenza globale (OS).

“In questo contesto di malattia, la chemioembolizzazione rappresenta lo standard di cura da più di 20 anni – afferma il Prof. Lencioni -. I dati presentati oggi dimostrano come un approccio terapeutico combinato, che comprenda, oltre alla chemioembolizzazione, un trattamento sistemico con durvalumab e bevacizumab, sia in grado di aumentare in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione”.

“Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 12.200 nuovi casi di tumore del fegato – spiega Vincenzo Mazzaferro, Professore di Chirurgia all’Università degli Studi di Milano e Direttore della Chirurgia Oncologica (epato-gastro-pancreatica) e Trapianto di Fegato alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. I principali fattori di rischio sono costituiti da patologie come l’epatite B e l’epatite C, sindrome metabolica e abuso di alcol. Tutti i pazienti che hanno sviluppato una forma di epatite devono sottoporsi a controlli epatologici frequenti, per monitorare l’andamento dell’infezione, trattarla e diagnosticare precocemente l’eventuale sviluppo del tumore del fegato. L’immunoterapia con durvalumab ha già dimostrato di essere efficace nella malattia metastatica. Lo studio EMERALD-1 evidenzia il ruolo importante dell’immunoterapia in combinazione con la chemioembolizzazione, quando il tumore è confinato al fegato e la funzionalità epatica non è compromessa. Alcuni di questi pazienti possono raggiungere livelli di risposta tumorale compatibili con terapie curative come la resezione del tumore o il trapianto”.

Il profilo di sicurezza di durvalumab più TACE e bevacizumab è risultato generalmente gestibile e coerente con il profilo già noto di ogni farmaco. Il numero di procedure TACE è risultato coerente tra i bracci. Non sono stati rilevati nuovi segnali di sicurezza. Eventi avversi di Grado 3 e 4 si sono verificati nel 45,5% dei pazienti trattati con durvalumab più TACE e bevacizumab e nel 23% di quelli trattati con la sola TACE.

Il tumore del fegato
Il tumore del fegato, la cui forma più comune è il carcinoma epatocellulare, è la terza causa di morte per cancro, con una stima di circa 900.000 diagnosi all’anno a livello mondiale con prevalenza elevata in alcune aree dell’Asia. Si stima che l’80-90% dei pazienti con HCC presenti anche cirrosi. Le malattie epatiche croniche come la cirrosi sono associate a infiammazione che può causare lo sviluppo di HCC. L’immunoterapia è una modalità terapeutica comprovata nel HCC con opzioni approvate disponibili per i pazienti nei setting di linea avanzato.

Lo studio EMERALD-1
EMERALD-1 è uno studio globale di Fase III, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato versus placebo, di durvalumab più TACE somministrati contemporaneamente seguiti da durvalumab con o senza bevacizumab fino a progressione di malattia rispetto alla sola TACE, in 616 pazienti con HCC non resecabile eleggibile per l’embolizzazione.

Lo studio è stato condotto in 157 centri di 18 Paesi, tra cui Nord America, Australia, Europa, Sud America e Asia. L’endpoint primario è PFS per durvalumab più TACE e bevacizumab rispetto alla sola TACE, e gli endpoint secondari comprendono PFS per durvalumab più TACE, OS, valutazione della qualità di vita valutata dal paziente (PRO= patient reported outcome) e ORR.