Anche se l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) potrebbe a breve dichiarare la fine della pandemia, il virus Sars-CoV-2 continua a contagiare e a causare forme gravi di infezione specialmente nei soggetti fragili. Per questo è necessario non buttare via le armi anti-Covid che sono ancora efficaci, come gli anticorpi monoclonali. Lo hanno ribadito gli esperti, riuniti a Roma in occasione dell’evento “mAbs nell’Early Treatment. Controversie e consensi nel paziente fragile con Covid-19: non creiamo anticorpi” promosso da GlaxoSmithKline.
Contro Covid-19 rimane una priorità di sanità pubblica incrementare tutte le attività finalizzate a una corretta profilassi vaccinale e all’applicazione di protocolli terapeutici precoci e mirati. Soprattutto per coloro che risultano ad elevato rischio di progressione verso forme di malattia grave. “Il vaccino ha fatto tanto e su questo dobbiamo essere tutti d’accordo – ha sottolineato Massimo Andreoni, direttore scientifico Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali (Simit) – evidentemente però non può fare tutto. Ogni vaccino, quando utilizzato su chi non ha un’immunità valida, può non riuscire a dare una copertura sufficiente.

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Covid nei pazienti fragili

Anticorpo monoclonale

E se non usiamo farmaci efficaci su queste persone ‘parzialmente difese’, il problema esiste. Ma i farmaci ci sono, abbiamo un antivirale molto efficace, con il limite però di avere molte interazioni farmacologiche e stiamo parlando di pazienti con comorbilità, che assumono molti altri medicinali. Un’altra arma è rappresentata dagli anticorpi monoclonali, che hanno il vantaggio di impedire al virus di entrare nella cellula, mentre l’antivirale agisce su un virus già penetrato nella cellula e che si sta per replicare. Questi trattamenti però si portano con loro il concetto di early treatment: una volta che sono passati i primi giorni malattia, combatterla diventa complicato. Vanno usati nei primissimi giorni, altrimenti è molto più probabile che si crei uno stato infiammatorio difficilmente gestibile. Su questo occorre che i medici di medicina generale considerino nei giusti casi che dare queste terapie è la miglior scelta da fare. Ma oggi la fragilità passa molto dagli ospedali e quindi questo messaggio deve arrivare anche agli specialisti”.

L’armamentario terapeutico esiste e va scelto guardando al quadro della situazione e alla tipologia di pazienti: “Da quando la variante Omicron è diventata quella dominante in Italia, gran parte degli anticorpi monoclonali hanno perso parte della loro efficacia. Ma alcuni continuano a funzionare bene e per questo sarebbe insensato rinunciarvi”, ha sottolineato Carlo Federico Perno, direttore di microbiologia e diagnostica di immunologia all’ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Sull’anticorpo monoclonale per il Covid-19 sotrovimab, ad esempio, sono disponibili dati di pratica clinica che confermano come sia in grado di ridurre rischio di evoluzione di malattia, di ospedalizzazione, di terapia intensiva, di morte. Dati che hanno spinto autorità nazionali britanniche e tedesche a raccomandarne l’uso. “E’ tranquillizzante sapere che abbiamo ancora valide armi per combattere una malattia che non è ancora da chiudere in cassetto, archiviata come banale”, ha proseguito Perno. Esistono infatti significative evidenze cliniche in real life provenienti dal Regno Unito, fra gli altri, che, su casistiche di decine di migliaia di pazienti, confermano l’efficacia e la sicurezza di sotrovimab durante il periodo di Omicron incluse le varianti recentemente emerse”. Questi risultati hanno portato il Nice britannico a includere sotrovimab come trattamento di scelta per i pazienti in cui il trattamento con antivirale orale (nirmatrelvir più ritonavir) non è indicato.

“L’impiego degli anticorpi monoclonali (mAbs) è ormai una concreta ed efficace realtà terapeutica in diversi contesti, in particolare nelle malattie infiammatorie ed in emato-oncologia”, afferma Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia di Torino. “Oggi l’uso terapeutico ed anche preventivo dei mAbs in malattie infettive ha ricevuto un recente impulso dalla pandemia di infezione da SARS-CoV-2, in quanto la terapia a base di mAbs è stata la prima a posizionarsi come trattamento precoce nelle prime fasi dell’infezione. Nella realtà dei fatti – continua – per alcuni mAbs, quali il sotrovimab, il parallelismo fra test di laboratorio ed efficacia clinica ha mostrato significativi limiti, in quanto lo stesso sotrovimab in studi post-marketing (fase IV) è risultato efficace in terapia precoce ad onta di risultati negativi nei test in vitro. Proprietà accessorie del farmaco in oggetto, quali la lunga permanenza in circolo ad alte concentrazioni, la diffusibilità nell’interstizio polmonare e le funzioni di cooperazione con l’immunità cellulare, ci rendono conto di un’efficacia complessiva ancor oggi di garanzia nella terapia precoce dell’infezione da SARS-CoV-2 in pazienti a rischio di evoluzione.”