Su 100 pazienti oncologici arruolati nei protocolli di cura sperimentali per il cancro, in media 70-80 sono uomini e solo 20 o massimo 30 sono donne. Accade non perché esistano a monte limiti nell’accesso alle terapie, bensì a causa di una barriera molto più insidiosa e difficile da sradicare: il ruolo sociale di ‘custode della casa’ e, spesso, di unico caregiver familiare che la donna, per quanto emancipata possa essere, porta ancora cucito addosso. È questo il vero freno invisibile che induce molte pazienti a non percorrere la strada delle terapie sperimentali, generalmente più impegnative, e di conseguenza ad essere di fatto penalizzate nel loro diritto alla salute.
A denunciare il preoccupante fenomeno è Women For Oncology Italy, l’associazione nata da una costola di ESMO (European Society for Medical Oncology) che da anni si batte per le pari opportunità in oncologia e che, il prossimo 7 marzo, alla vigilia della Festa della donna, presenterà a Montecitorio i dati sullo stato dell’arte dell’oncologia italiana, proprio per sensibilizzare istituzioni e Governo sulla necessità di correre presto ai ripari. Un evento nel quale è prevista la presenza del ministro della Salute Orazio Schillaci. “Esiste un gender gap anche nell’accessibilità ai protocolli di cura sperimentali – spiega Rossana Berardi, Presidente di WFO Italy – strettamente correlato con la condizione sociale della donna che è, ancora oggi, la persona alla quale viene demandato tutto il carico familiare, senza spesso possibilità di alternative. Si tratta di una disparità molto pericolosa, intanto perché mette potenzialmente a rischio delle vite. Poi perché è ancora percepita come la ‘normalità’. Ma ogni giorno tocchiamo con mano che quando è una donna ad avere un tumore la famiglia ha più difficoltà a resettarsi nella nuova condizione, venendo a mancare il perno di tutto. E questo inevitabilmente influisce anche nel percorso terapeutico, che è composto da molteplici fattori: la paziente donna rischia di partire ancora più svantaggiata, in una condizione già di per sé drammatica come può essere una diagnosi di cancro. Queste problematiche rientrano nella cosiddetta oncologia di genere, che riguarda entrambi i sessi, non solo le donne, e gli aspetti biologici e socio-sanitari che differenziano le rispettive cure. Come Women for Oncology vogliamo portare anche questi aspetti all’attenzione della politica, del Governo e dell’opinione pubblica, perché è soprattutto un lavoro di cambiamento culturale quello che va fatto. Le donne dell’oncologia italiana sono pronte a dare il loro contributo sia nel loro lavoro di tutti i giorni, come da sempre fanno, sia mettendo a disposizione dei tavoli decisionali la propria esperienza e competenza’.