Per la prima volta, in oltre 15 anni, cambia il trattamento del mesotelioma pleurico, un tumore toracico particolarmente aggressivo. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità della combinazione di due farmaci immunologici, nivolumab e ipilimumab, come trattamento di prima linea in pazienti non operabili e con istologia non epitelioide. Nello studio registrativo CheckMate -743, la combinazione immunologica, rispetto alla chemioterapia, ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza in tutte i tipi istologici, con quasi 1 paziente su 5 vivo a 4 anni dall’inizio del trattamento. Nella forma non epitelioide, la combinazione ha più che raddoppiato la sopravvivenza mediana, che ha raggiunto 18,1 mesi rispetto a 8,8 con la chemioterapia standard.
“Sono risultati davvero significativi e inimmaginabili fino a poco tempo fa, visto che si tratta di pazienti con malattia avanzata non suscettibile di alcun approccio chirurgico o locoregionale, in grado di ricevere solo la chemioterapia – spiega Federica Grosso, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale Mesotelioma e Tumori Rari dell’Azienda Ospedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria -. Al dato sulla sopravvivenza si aggiunge quello estremamente rilevante per i pazienti sulla qualità di vita, nettamente a favore della immunoterapia. Con l’approvazione della rimborsabilità di nivolumab più ipilimumab da parte di AIFA cambia lo standard terapeutico per i pazienti colpiti dalla forma non epitelioide, la più aggressiva e totalmente insensibile alla chemioterapia, che costituisce circa il 25% di casi”.

“Dopo tanti anni di progressi limitati nel trattamento del mesotelioma maligno, abbiamo riscontrato un importante beneficio clinico con nivolumab più ipilimumab nello studio internazionale di fase 3 CheckMate -743 che ha coinvolto oltre 600 pazienti – afferma Michele Maio, Presidente Fondazione NIBIT, Direttore della Cattedra di Oncologia dell’Università di Siena e del Centro di Immuno-Oncologia (CIO) dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese -. È una combinazione unica di due checkpoint immunitari che hanno un meccanismo d’azione potenzialmente sinergico, che ha come target due diversi checkpoint (PD-1 e CTLA-4) per distruggere le cellule tumorali: ipilimumab favorisce l’attivazione e proliferazione delle cellule T, mentre nivolumab aiuta le cellule T a scoprire il tumore. Alcune cellule T, stimolate da ipilimumab, possono diventare cellule T della memoria, che permettono una risposta immunitaria a lungo termine. Ecco perché i benefici della combinazione durano nel tempo. Il nostro gruppo di Siena, ha sviluppato, nel 2009, le prime ricerche al mondo di immunoterapia con anticorpi diretti contro differenti check-point immunologici proprio nel mesotelioma”.

“Siamo stati pionieri nello sviluppo di queste terapie e crediamo fortemente nel loro valore. Finalmente è arrivato il tanto atteso rimborso della combinazione di nivolumab e ipilimumab anche nel mesotelioma pleurico non epitelioide – sottolinea Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bristol Myers Squibb Italia -. In questo modo aumenta il numero di pazienti che possono trarre vantaggi dall’immunoterapia. La combinazione nivolumab più ipilimumab è rimborsata in Italia per quattro diversi tipi di tumore avanzato in prima linea: mesotelioma pleurico non epitelioide, tumore del polmone non a piccole cellule, melanoma e carcinoma a cellule renali. Inoltre, nivolumab è rimborsato in monoterapia, in seconda linea nel tumore dell’esofago, del polmone non a piccole cellule e nel carcinoma a cellule renali. Stiamo sviluppando altre molecole immunoncologiche, che interagiscono su target differenti del sistema immunitario. Il nostro obiettivo è estendere l’efficacia dell’immunoncologia per migliorare la sopravvivenza dei pazienti”.

Ogni anno, in Italia, sono stimati circa 2000 nuovi casi di mesotelioma. Il principale fattore di rischio è costituito dall’esposizione all’amianto nel 90% delle diagnosi. Per la sua natura di malattia professionale, è attivo un sistema nazionale di sorveglianza con segnalazione obbligatoria. Questi dati confluiscono nel Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM). A causa della latenza tra l’esposizione all’asbesto e lo sviluppo della malattia, la mediana è di 48 anni, nonostante l’utilizzo del minerale sia stato bandito in Italia con una legge del 1992, non si è ancora assistito a una riduzione dell’incidenza della malattia nel nostro Paese. I settori più coinvolti sono l’edilizia e l’industria pesante, dai quali deriva il 60% dei casi registrati negli archivi del Registro Nazionale.

“In alcune zone del nostro Paese, come Casale Monferrato, Mestre, Savona e Ancona, il mesotelioma è un tumore frequente, ma nella maggior parte del territorio è raro – continua la dott.ssa Grosso -. I primi sintomi, di solito presenti da alcuni mesi dal momento della diagnosi, sono dolore toracico, difficoltà respiratoria e tosse. Il segno più frequente è la formazione di liquido pleurico nelle localizzazioni toraciche”.

“La nostra associazione vuole far sentire meno soli i pazienti colpiti da un tumore toracico raro – spiega Laura Abate-Daga, Presidente TUTOR (Associazione Tumori Toracici Rari) -, fornendo loro un aiuto concreto attraverso informazioni sulla patologia, anche con incontri (on line) con medici esperti nella malattia per rispondere a tutte quelle domande che durante le visite non vi è il tempo di trattare. Forniamo l’elenco dei centri con expertise sulla patologia e sugli studi clinici attivi. Per i pazienti con tumore toracico raro il percorso per una corretta diagnosi e terapia è più lungo rispetto alle neoplasie frequenti. Nel 2017 è stata stipulata un’intesa Stato-Regioni per l’istituzione di una rete nazionale dei tumori rari, che è fondamentale che parta quanto prima affinché tutti i pazienti abbiano diritto al miglior percorso di cura. A livello europeo, per i tumori rari, è operativa EURACAN con i centri di riferimento europei (ERN, European Reference Networks), in cui sono inclusi anche centri italiani. È essenziale che la diagnosi e il percorso di cura di una neoplasia rara come il mesotelioma siano definiti solo in strutture di riferimento, che sono in grado di garantire esperienza per numero di casi trattati e un approccio multidisciplinare”.

“La ricerca – conclude Michele Maio – va nella direzione di indentificare con sempre maggior precisione i pazienti che possono rispondere all’immunoterapia. Un recente studio condotto dal nostro gruppo di Siena ha dimostrato che il TMB, cioè il carico mutazionale del tumore, può aiutare a predire la probabilità che un paziente con mesotelioma tragga beneficio dal trattamento immunoterapico. Le cellule tumorali con elevato TMB presentano alti livelli di neoantigeni, che aiutano il sistema immunitario a riconoscere il tumore come ‘estraneo’ provocando un aumento delle cellule T deputate a combattere il cancro e, di conseguenza, stimolando la risposta antitumorale. Per valutare il carico mutazionale è necessario analizzare una quantità elevata di geni e il test deve essere effettuato al momento della diagnosi”.