La radicalizzazione giovanile legata a fattori religiosi, politici, sociali, rappresenta in Italia e in tutta l’Unione Europea una sfida sempre più complessa, rispetto alla quale occorre dotarsi di conoscenze e competenze nuove. Negli ultimi anni la radicalizzazione giovanile e l’uso della violenza a essa associato sono diventati una preoccupazione crescente in Europa a causa del notevole aumento dei fenomeni di hate speech, della violenza di stampo xenofobo, nonché dell’incremento dell’estremismo religioso. L’incremento della radicalizzazione prende forma e si amplifica anche nei social network, che danno accesso a un bacino di nuove potenziali reclute estremamente più ampio e trasversale di quello faccia a faccia.

Social media e web cassa di risonanza

Si tratta di temi che riguardano tutti: le famiglie, la scuola, l’informazione e le istituzioni tutti impegnati a comprendere le cause di tale fenomeno per formulare politiche di prevenzione efficaci. Questo quadro desta ulteriori e più profonde preoccupazioni all’indomani del lunghissimo periodo di emergenza sanitaria, laddove l’incremento di forme di disagio, sofferenza e devianza che hanno colpito in maniera drammatica proprio i più giovani è andato di pari passo con il maggiore utilizzo del web e delle app di messaggistica, esponendoli alla propaganda estremista on-line e favorendo l’attivazione di processi di radicalizzazione da parte dei soggetti più vulnerabili, che sono riusciti così a trovare conforto nella propaganda ideologica radicale.

Il ruolo educazionale dello sport

Lo sport può avere un ruolo in queste dinamiche? Certamente sì specialmente se si considera la relazione educativa che si instaura tra gli allenatori e i giovani. Le realtà sportive si trovano, infatti, in una posizione strategica nella lotta e nella prevenzione di tale fenomeno: lo sport rappresenta un’area prioritaria di socializzazione informale per una vasta maggioranza di giovani in tutta Europa e dunque, come molti documenti comunitari riconoscono, un contesto ideale per mettere a punto un’adeguata strategia di intervento preventivo, incentrata sulla promozione di una cultura del rispetto dell’avversario, del fair-play, della convivenza, della pace. L’ambito sportivo può essere inoltre un “osservatorio” prezioso che permette di individuare i giovani a rischio o con tendenze radicalizzate attraverso il monitoraggio di comportamenti (fisicamente o verbalmente) violenti. Nello stesso tempo, però, in assenza di un’adeguata consapevolezza del proprio ruolo educativo, gli operatori sportivi rischiano di veicolare essi stessi atteggiamenti e comportamenti violenti che possono sfociare nella radicalizzazione attraverso l’insegnamento della disciplina sportiva.

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Un progetto europeo

Il progetto Safe Zone, finanziato dalla Commissione Europea – Migration and Home Affairs – Internal Security Fund Police (ISFP) e coordinato dall’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali (IPRS) in collaborazione con altri sette partner europei provenienti da 4 paesi dell’UE (DE, IT, PT), vuole contribuire alla prevenzione della radicalizzazione e della violenza estremista in Europa, in particolare tra i giovani che svolgono attività sportiva, con un focus specifico sulla relazione educativa che si instaura in ambito sportivo tra i coach/educatori e i giovani che praticano sport.

La mappa delle best practice

Nel corso del progetto sono state individuate e confrontate, sia a livello nazionale che internazionale, le buone pratiche degli operatori sportivi volte a prevenire e contrastare forme di radicalizzazione e violenza dei giovani nell’ambito del gruppo dei pari. Da questo lavoro di mappatura è emerso chiaramente che le sfide poste dal fenomeno della radicalizzazione giovanile devono essere affrontate a partire da un approccio multi-agency tra le principali agenzie educative e sportive.

Due seminari per confrontarsi

Per presentare le varie fasi del progetto e anche la piattaforma di e-learning sviluppata per gli allenatori sono stati organizzati due seminari. Il primo, dal titolo “Sport-side stories: strategies to prevent youth radicalization and violence through sport practice” si svolgerà il 25 marzo in forma ibrida con la partecipazione anche di relatori stranieri. Insieme all’IPRS come coordinatore del progetto, allenatori ed esperti di sport giovanili si impegneranno in un dibattito sull’importanza dello sport come mezzo per prevenire la radicalizzazione e la violenza dei giovani. Un secondo seminario dal titolo “Radicalizzazione e incitamento all’estremismo violento tra i giovani: strategie di prevenzione nello sport” si svolgerà in presenza il prossimo 29 marzo a Roma presso la sede del Cnel. Verranno coinvolte le strutture che si occupano dell’educazione sportiva dei giovani (il CSI – Centro Sportivo Italiano, in qualità di partner di progetto), ma anche alcuni degli attori che operano nella prevenzione e contrasto del disagio giovanile – tra cui le Forze dell’Ordine, che sono chiamate ad entrare in rapporto con le agenzie educative, ma anche i Servizi della Giustizia minorile, che da sempre riconoscono nello sport una grande opportunità per l’implementazione di efficaci progetti di messa alla prova.