Sono almeno 1 su 3 i lavoratori delle Rsa che hanno riportato un disturbo psichico, come ansia, depressione e disturbo post traumatico da stress secondo una ricerca di Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere svolta in collaborazione con il Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze di ASST Lodi, l’ASST Fatebenefratelli Sacco Milano e l’Università degli Studi di Milano, con l’obiettivo di valutare l’impatto sulla salute mentale dell’epidemia di Covid-19 a un anno dal primo lock-down dei lavoratori delle residenze socio-assistenziali che fanno parte del network dei Bollini RosaArgento, il riconoscimento su base biennale  che viene attribuito alle strutture, pubbliche o private accreditate, attente al benessere, alla qualità di vita, e in grado di garantire una gestione personalizzata, efficace e sicura degli ospiti. L’indagine è stata presentata in occasione della conferenza stampa del V Congresso Nazionale di Fondazione Onda “Cronicità e differenze di genere”.

“La ricerca ha identificato con chiarezza che sono state soprattutto le donne giovani (84 per cento del totale, età media 44 anni) le più coinvolte in quella che è stata una battaglia per assistere i più fragili. Una battaglia che ha lasciato ferite che sono restate aperte nel tempo. Significativi segnali di disagio sono stati osservati a distanza di 1 anno: 1 persona su 4 ha mostrato sintomi severi di natura post-traumatica, sintomi depressivi moderati/severi si sono osservati nel 16 per cento del campione e quadri di ansia gravi moderati/gravi nell’11 per cento della popolazione indagata. Quasi la metà del campione (40 per cento) ha riferito un significativo impatto negativo dei sintomi psichici sul funzionamento sociale e lavorativo”, commenta Giancarlo Cerveri, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Socio-Sanitaria di Lodi. “La ricerca evidenzia dunque la necessità di interventi specifici di aiuto a queste persone così duramente colpite dalla pandemia e così poco visibili nel circuito mediatico.”

La ricerca, svolta dall’8 marzo 2021 per 60 giorni, ha coinvolto 300 lavoratori delle RSA, con ruolo sanitario come medici, infermieri e fisioterapisti (91), con ruolo assistenziale come ASA E OSS (99) e con ruolo amministrativo (110) e ha valutato attraverso questionari di autovalutazione i livelli di ansia e depressione, i sintomi ascrivibili ad una condizione di Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), la qualità di vita professionale e l’adattamento sociale e lavorativo.

“I risultati di questa ricerca ci hanno fornito molteplici motivi di riflessione: l’80 per cento di quanti hanno risposto al questionario avevano contratto l’infezione da Sars-Covid-19, e circa il 10 per cento dei partecipanti aveva perso un parente o un amico stretto, sono numeri molto elevati”, dice Luigi Bergamaschini, Membro Advisory Board Bollini RosaArgento e autore dell’indagine. “Non è difficile immaginare il livello di stress emotivo che ha accompagnato, e probabilmente continua ad accompagnare, il personale delle RSA nelle quotidiane attività assistenziali. Non la fatica fisica per i turni di lavoro ravvicinati ma la paura del contagio e soprattutto la mancanza di una efficace organizzazione aziendale sono state riferite come principali criticità nell’ambiente di lavoro. Credo di poter estrapolare che il personale si sia sentito ‘solo’ e non adeguatamente coinvolto nella gestione della fatica fisica, dello stress per le numerose morti, e della propria paura di ammalarsi. Non va dimenticato che nelle RSA la malattia infettiva non era contemplata. Delle 34 strutture che hanno aderito all’iniziativa la maggioranza è costituita da RSA private suggerendo forse una maggior attenzione nel privato ai problemi legati alla salute-psico-affettiva del proprio personale. Probabilmente, in generale, manca una cultura della formazione che deve partire dalla osservazione sul campo e dalla capacità di sapersi confrontare.”

Oltre al legame tra Covid-19 e salute mentale, il Congresso di Fondazione Onda che si svolgerà in modalità virtuale il 28 e 29 settembre, porrà un particolare accento a come la cronicità influisca in modo differente a seconda del genere e della patologia a cui è legata. In Italia, infatti è un problema molto sentito in quanto si contano oltre due milioni di persone con più di 85 anni, di cui 17 mila ultracentenari, record europeo, e l’aumento della sopravvivenza comporta un maggior impegno da parte della comunità medica, incrementa la probabilità di sviluppare patologie e allo stesso tempo porta a convivere per più anni con malattie croniche e disabilità.

“La cronicità è una sfida importante e urgente per il nostro Paese: per questo, anche a seguito dell’impatto del COVID-19 sui soggetti più fragili, la quinta edizione del Congresso Nazionale Onda è dedicata a questo tema sottolineando le differenze di genere”, afferma Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda. “La cronicità verrà declinata nelle diverse aree specialistiche rinnovando l’impegno di promuovere la cultura della multidisciplinarietà e il dialogo tra professionisti della salute. L’ultima sessione – conclude Francesca Merzagora – sarà poi improntata all’innovazione: dalla clinica, all’urbanistica, dalla telemedicina alla robotica”.

Una delle sessioni del congresso è dedicata al legame tra cronicità, Covid19 e differenze di genere con focus sulla depressione. “In Europa la prevalenza della depressione nelle donne è del 7,7 per cento, più alta di quella registrata per gli uomini, pari al 4,9 per cento. La prevalenza complessiva è elevata, la media per tutti i paesi supera il 6 per cento rispetto al 4,4 per cento indicato da OMS. I paesi con un maggiore sviluppo economico e quindi, presumibilmente, con migliori risorse sanitarie e di assistenza, hanno una maggiore incidenza rispetto ad altri paesi economicamente meno sviluppati”, conclude Claudio Mencacci, Presidente Comitato scientifico Fondazione Onda e Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia.